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Ora

Pensate a qualcuno molto vicino a voi, qualcuno che fa totalmente parte della vostra vita, con il quale avete un rapporto di totale fiducia e di amore. Pensate a qualcuno con il quale da anni condividete emozioni, e vita quotidiana e poi immaginate di cominciare a vederlo stare male. Lo accompagnate da un dottore e la diagnosi è impietosa e irreversibile: tumore, inoperabile. Immaginate di dovervi occupare di lui. Preparatevi, lo vedrete deperire di giorno in giorno, passare a pesare la metà del suo peso normale, il suo viso diventerà scavato e i suoi occhi enormi e tristi, colmi di sofferenza e paura. Il tumore dall'intestino si estende al fegato e le metastasi arrivano chissà dove. Vi ritroverete a stargli vicino mentre gli estraggono mezzo litro di liquido dal pancino gonfio e dolorante, mentre gli frugano in bocca tra le gengive infiammate e massacrate da ulcere e similari, vi ritroverete a lottare con dottori che non faranno altro che chiedervi soldi su soldi per continuare a dargli cure inutili o addirittura dannose e allora aggiungerete, vostro malgrado, sofferenza alla sofferenza, sentendovi colpevoli, confusi, domandandovi in continuazione cosa dovete fare, cosa è giusto, cosa è sbagliato. Le persone vi diranno che accanirsi è sbagliato, che dovreste lasciarlo andare ma la superficialità e la stupidità di queste parole la capirete solo dopo, lì per lì, sul momento, servirà solo a farvi sentire peggio, per questo non fidatevi degli amici, la gente è stupida e superficiale. Lui si è meritato il mio "accanimento" perché era forte più di chiunque abbia ma conosciuto, forte e orgoglioso. Ha lottato fino all'ultimo e non mi avrebbe mai perdonato se non avessi sperato insieme a lui: non ci sono abbastanza soldi da spendere per salvare chi si ama e tutti quelli che mi hanno chiesto se ne valeva la pena possono andarsi ad ammazzare perché non valgono una delle sue unghie quando erano sporche di merda. L'ho visto deperire, sì, ma anche se non si reggeva più in piedi, piccolo fantasma spaurito e spelacchiato, torturato dai medici e dalla sua stessa madre inesperta, aveva ancora la forza di chiamarmi e raccontarmi come si sentiva, di ronfare per dimostrarmi con le poche forze che aveva, il suo infinito amore. Aveva ancora voglia di stabilire chi fosse il padrone di casa e anche se ormai mangiava poco e nulla, quel poco preferiva rubarlo dal piatto delle sorelle, che fino all'ultimo lo hanno comunque rispettato e onorato. Le mie giornate nell'ultimo mese e mezzo sono state scandite, oltre che dai turni al casello, dai bagnetti, dalle flebo, le iniezioni, la somministrazione di pillole e da altri metodi che vi assicuro non è possibile raccontare ma che non auguro a nessuno di dover provare; notti insonni o passate a svegliarmi a cadenza regolare per andare a vedere se tutto fosse a posto, per coprirlo se si scopriva, adagiarlo in posizioni migliori se si spostava, per fargli bere l'acqua  che lo teneva idratato, per provare a farlo mangiare perché quella era la sua salvezza. Notti passate a preoccuparmi e a svegliarmi ad ogni minimo rumore, a correre di là con il cuore in gola, temendo il peggio, a dormire in un sacco a pelo per stargli vicino o ad addormentarmi in ginocchio, per terra o con il braccio storto perché il mio tesoro si era addormentato, finalmente, con il musino sulla mia mano e in quel momento per me non c'era gioia maggiore che sentirlo sereno perché gli ero vicina. Ho trovato un sacco di medici incompetenti e fino all'ultimo nessuno gli aveva mai fatto una diagnosi precisa. Sono andata fino a milano e sì, ho speso ben più di mille euro in meno di un mese per lui e lo rifarei ancora e ancora perché io, a differenza vostra, ho un cuore e tutti quelli che pensano che sia stupido o sbagliato possono benissimo cancellarmi dai loro amici perché non ho rispetto per chi la pensa così e non mi interessa la vostra amicizia. Ho passato tutto questo periodo a piangere ogni volta che rientravo a casa e vedevo il suo musetto emaciato fare capolino dalla sedia su cui gli piaceva stare, ogni volta che si rifiutava di mangiare, ogni volta che uscivo perché non volevo lasciarlo e ogni volta che, mentre ero fuori di casa, pensavo che al mio rientro avrei potuto non trovarlo più. Piangevo ogni volta che lo baciavo o che lo toccavo perché mi faceva impressione vedere il suo fisico e il suo musetto così provati da questa maledetta malattia, piangevo quando sentivo i suoi miagolii tristi e strazianti, piangevo, sempre, piangevo di continuo. L'ho visto scomparire piano piano, sotto i miei occhi mentre lottava veramente con le unghie per rimanere attaccato alla sua piccola vita, più di quanto ho visto fare a molte persone: mi ha riempito di orgoglio fino alla fine il mio bambino perché non ho mai conosciuto nessuno più fiero e meritevole di lui, nessuno così in gamba e forte. Poi è arrivato il temuto giorno: inutile stare a descrivere tutte le delusioni e le speranze che si sono avvicendate nel mio cuore in questo periodo mortale, inutile e bruciante raccontare che il giorno dopo che se ne è andato era il grande giorno per la nuova cura, quella giusta, quella mirata. Inutile descrivere cosa provo nel sapere che se i dottori mi avessero ascoltato, se io avessi fatto,, se... Lunedì 3 ottobre 2011 morgan ha pranzato con voracità e ha ronfato sereno vicino a me, contento di stare meglio e di aver fatto la pappa, poche ore dopo l'ho fatto bere e ha mangiato la sua fonduta di parmigiano e dieci minuti dopo i suoi polpastrelli sono diventati bianchi e lui è entrato, inaspettatamente, in piena crisi. Ho chiamato immediatamente il dottore che mi ha detto di portarlo al pronto soccorso per una fleboclisi ed altri trattamenti per farlo riprendere: gli era venuta lo stesso tipo di attacco la notte precedente ed io avevo provato il terrore più grande della mia vita temendo di perderlo ma quella volta non era successo e mi era bastato fargli qualche massaggio e tranquillizzarlo un po' per scongiurare il peggio, ma stavolta non è andata così. L'ho portato sul letto e, nonostante le indicazioni del medico, non me la sono sentita di caricarlo in macchina in quelle condizioni perché non sapevo se sarebbe arrivato a destinazione. Mentre lo tenevo stretto ha cominciato a urlare letteralmente dalla paura e dallo sconforto, non sapeva come stare, era irrequieto e non riusciva a respirare bene: continuava a fissarmi con questi occhi enormi e il musetto lungo lungo e stretto, mentre il suo corpicino che ormai non era formato che da quattro ossa leggere leggere, si muoveva su di me in cerca di una posizione che lo facesse stare meglio, ma non ce ne erano, non c'è una buona posizione per morire. E' durato tutto tantissimo, dal mio punto di vista, lui continuava a piangere e urlare e io a dirgli stupidamente "la mamma è qui con te, la mamma è qui con te" con l'anima e il cuore invasi dal terrore, mi guardava in preda al panico come se io potessi in qualche modo aiutarlo e questa è un'immagine che vivrà per sempre dentro di me: ad un certo punto ha cominciato a rantolare e a muoversi molto meno ed infine, dopo un ultimo lunghissimo spasmo, il suo corpicino si è abbandonato tra le mie braccia e il suo nasino si è appoggiato al mio collo mentre io trasformavo il terrore in un dolore sconfinato. Non c'è nulla di poetico nella morte o nel morire tra le braccia di chi ami: è stato orribile. Ecco, questa è una piccola parte di quello che vi siete persi mentre eravate distratti e vi siete dimenticati di chi chiamavate amica e se a condividere quest'incubo con me c'erano veramente tre gatti allora vuol dire che tutti gli altri non meritano di far parte della mia vita. E la prossima volta che piangerete per la prima sciacquetta che vi ha dato buca o per il coglione di turno che vi ha trattato male, o che vi farete venire un esaurimento per il lavoro, rileggetevi il mio racconto e cominciate a dare importanza a ciò che veramente ne ha.

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