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Mi manca...





...il nasino rosa bagnato e freddo che tocca la punta del mio naso, i dentini che sporgono e mi graffiano le labbra, l'odore del suo alito, la sua boccuccia rosa e lentigginosa, le sue guance bianche coperte, oltre che dalle piccole e irregolari efelidi, dalle vibrisse pungenti e spesse e il suo baffetto con la base nera che mi solletica il viso mentre ci coccoliamo, la pelle calda dietro alle orecchie e la peluria setosa che vi si trova, la cartilagine sottile che le compone e la loro trasparenza, che rivela le venuzze rosse ai bordi quando è vicino alla luce, la fronte fresca e l'impatto duro della sua testa sotto le mie labbra e la piccola punta sulla cima di essa che sento quando lo accarezzo con le mani, il suo collo lungo e sottile dove il pelo comincia a divenire lucido e a mescolarsi col più morbido sottopelo chiaro, il suo mento e le vibrazioni al ritmo del suo ronfare, il petto fiero e ricoperto di una peluria dolce color champagne e le zampine dritte con i piedini rotondi, le ditine piccolissime e la pelle sottile in mezzo ad esse, le unghie affilate che escono fuori quando schiaccio, i polpastrelli rosa e gommosi che si posano sulla mia mano o che scivolano delicatamente sulle mie guance per farmi la più dolce delle carezze, il suo sguardo, quegli occhi verdi e luminosi che mi fissano socchiudendosi in un'occhiata prolungata e colma di adorazione, la screziatura delle sue iridi chiarissime e il nero profondo e serio delle sue pupille, il rosa antico che disegna un trucco quasi invisibile intorno ai suoi occhi, le sopracciglia lunghissime e spesso arricciate dal fuoco di una candela a formare un viso che a me ha sempre ricordato i colori degli angeli, la schiena dritta e lunga abbellita dalla lucentezza del suo pelo rosso  scuro, la base della coda e la sensazione sotto alla mia mano quando la tira su per parlarmi e la coda stessa, sottile e inanellata da cerchi rossi alternati ad altri color crema, come anche su tutte e quattro le zampe, le cosce piccole e carnose, lunghe e molle dietro con il pelo che diviene, via via, sempre più lungo e sempre più morbido, i piedini un po' freddi che mi si posano addosso per stare più comodo nelle lunghe notti passate a dormire abbracciati, la pancia larga e morbidissima ricoperta dal pelo setoso e foltissimo, il punto in cui lo ha più lungo, il suo pancino nel quale adoro tuffare la faccia, il suo pancino profumato, lo sterno appuntito e le ascelle con la loro pelle "a pipistrello" molla e calda, le mie mani che lo toccano ovunque partendo da un estremità e arrivando all'altra per seguire ogni curva del suo corpicino, il suono gorgogliante prodotto dalla sua gola, le diverse intonazioni della sua voce, il suo parlarmi e il suo scrutarmi, il suo puntarmi gli occhi negli occhi per capire, ascoltare, vedere, il suo bisogno di starmi attaccato, non vicino, il suo buttarsi a peso morto sopra di me per sdraiarsi, il suo abbandonarsi all'indietro fiducioso nella presa delle miei mani, il suo "scavare" con le unghie sulle mie coperte per aprirsi un varco nel freddo dell'inverno, il suo sentirsi il padrone assoluto di casa e di me, il suo partecipare alla mia vita sociale, la sua curiosità, il suo lato fanciullesco e giocherellone, il suo modo di soffiare agli uomini della mia vita e i suoi modi per far loro capire a chi in realtà appartengo, trovarlo ad aspettarmi al mio rientro, averlo dietro ad accompagnarmi alla porta quando esco, trovarlo fuori dalla porta del bagno, sentirlo addosso mentre leggo, guardo la tv o faccio dell'altro seduta sul letto, averlo sulle gambe se sono sul divano, sentire la sua pancia posata sulla mia mano mentre uso il mouse, condividere il mio cibo con lui, fargli assaggiare tutto quello che mangio, nulla escluso, gustarmi la sua reazione quando arrivano oggetti nuovi in casa o quando compro un nuovo giochino, i suoi agguati a schiena curva in mezzo al corridoio, giocare con lui a nascondino, farmi rincorrere e rincorrerlo a mia volta per tutta la casa, averlo dietro mentre faccio da mangiare e sentire i suoi miagolii di richiesta quando il mio sguardo incontra il suo, sentirlo ronfare quando gli racconto come lo abbiamo trovato o quando gli parlo della sua infanzia, sentirlo ronfare quando gli canto una stupida canzone dedicata solo a lui, alzare lo sguardo e trovarlo ad aspettarmi sopra alla finestra e vedere che scende giù per correre alla porta di casa mentre entro nel portone, sentire il fruscio dei sacchetti nei quali andava a curiosare se li lasciavo in giro incustoditi, ridere con lui quando, per invogliarmi a giocare, scappava ad orecchie indietro facendo un buffissimo ed inconfondibile "rururu", quando, sulla finestra della cucina si sposta le tende per vedere meglio gli uccelli che volano ed emette contemporaneamente quel ridicolo verso tremolante che mi ha sempre fatto ridere un sacco, quando si mette sul davanzale e parla con la sua amichetta grigia, quando arriva davanti a me con gli occhi da pazzo e un ciuffo di peli neri all'angolo della bocca, quando arriva in cucina e apre il frigo per vedere cosa c'è da mangiare, quando, mentre mangio io, china la testa da un lato e allunga una zampina sul piatto per rubare un boccone, quando mangia dalla mia mano qualsiasi cosa perché la parola magica è "dalla mia mano", quando l'ho visto fare una scaletta con la cassettiera del mobile in cucina e arrivare finalmente al forno per aprirlo e servirsi il pollo, quando, ogni volta che aprivo la porta di casa, tentava di scappare per poi acquattarsi a terra una volta fuori dal portone, quando, quella volta che è scappato, l'ho ritrovato a correre con la faccia da pazzo dietro ad una gatto randagio, quando è caduto giù dalla finestra della sala, quando apriva i cassetti o quando, per svegliarmi e farsi dare la pappa, buttava per terra i miei preziosi soprammobili, quando si sdraiava nelle posizioni più scomode e assurde per riuscire a starmi più vicino di quanto, in quel momento, gli fosse permesso, quando lo portavo in giro con guinzaglietto o quando semplicemente lo prendevo in braccio e lui automaticamente mi baciava, quando tentavo di guardare la televisione e lui mi ballava davanti alla faccia perché voleva tutta la mia attenzione per baciarmi ancora e ancora, quando lo presentavo a qualche amico e sentivo l'orgoglio invadermi perché nessuno ha mai avuto la fortuna di avere al fianco un essere così magico e speciale, quando camminando per la casa e me lo ritrovavo in mezzo alle gambe, quando  mi sdraiavo a pancia in giù e lui si infilava sotto di me ronfando ancora prima di riuscirci, quando tornando da settimane di vacanza lo ritrovavo ad aspettarmi davanti alla porta di casa e, a differenza delle altre e di qualsiasi gatto comune, lui non mi si staccava di dosso nemmeno per mangiare se prima non lo salutavo lungamente e con le dovute coccole, quando giocava, quando dormiva, quando ronfava, quando mi guardava. La sua assoluta fiducia in me e il suo infinito e prezioso amore. Lui, in tutto.

Ora

Pensate a qualcuno molto vicino a voi, qualcuno che fa totalmente parte della vostra vita, con il quale avete un rapporto di totale fiducia e di amore. Pensate a qualcuno con il quale da anni condividete emozioni, e vita quotidiana e poi immaginate di cominciare a vederlo stare male. Lo accompagnate da un dottore e la diagnosi è impietosa e irreversibile: tumore, inoperabile. Immaginate di dovervi occupare di lui. Preparatevi, lo vedrete deperire di giorno in giorno, passare a pesare la metà del suo peso normale, il suo viso diventerà scavato e i suoi occhi enormi e tristi, colmi di sofferenza e paura. Il tumore dall'intestino si estende al fegato e le metastasi arrivano chissà dove. Vi ritroverete a stargli vicino mentre gli estraggono mezzo litro di liquido dal pancino gonfio e dolorante, mentre gli frugano in bocca tra le gengive infiammate e massacrate da ulcere e similari, vi ritroverete a lottare con dottori che non faranno altro che chiedervi soldi su soldi per continuare a dargli cure inutili o addirittura dannose e allora aggiungerete, vostro malgrado, sofferenza alla sofferenza, sentendovi colpevoli, confusi, domandandovi in continuazione cosa dovete fare, cosa è giusto, cosa è sbagliato. Le persone vi diranno che accanirsi è sbagliato, che dovreste lasciarlo andare ma la superficialità e la stupidità di queste parole la capirete solo dopo, lì per lì, sul momento, servirà solo a farvi sentire peggio, per questo non fidatevi degli amici, la gente è stupida e superficiale. Lui si è meritato il mio "accanimento" perché era forte più di chiunque abbia ma conosciuto, forte e orgoglioso. Ha lottato fino all'ultimo e non mi avrebbe mai perdonato se non avessi sperato insieme a lui: non ci sono abbastanza soldi da spendere per salvare chi si ama e tutti quelli che mi hanno chiesto se ne valeva la pena possono andarsi ad ammazzare perché non valgono una delle sue unghie quando erano sporche di merda. L'ho visto deperire, sì, ma anche se non si reggeva più in piedi, piccolo fantasma spaurito e spelacchiato, torturato dai medici e dalla sua stessa madre inesperta, aveva ancora la forza di chiamarmi e raccontarmi come si sentiva, di ronfare per dimostrarmi con le poche forze che aveva, il suo infinito amore. Aveva ancora voglia di stabilire chi fosse il padrone di casa e anche se ormai mangiava poco e nulla, quel poco preferiva rubarlo dal piatto delle sorelle, che fino all'ultimo lo hanno comunque rispettato e onorato. Le mie giornate nell'ultimo mese e mezzo sono state scandite, oltre che dai turni al casello, dai bagnetti, dalle flebo, le iniezioni, la somministrazione di pillole e da altri metodi che vi assicuro non è possibile raccontare ma che non auguro a nessuno di dover provare; notti insonni o passate a svegliarmi a cadenza regolare per andare a vedere se tutto fosse a posto, per coprirlo se si scopriva, adagiarlo in posizioni migliori se si spostava, per fargli bere l'acqua  che lo teneva idratato, per provare a farlo mangiare perché quella era la sua salvezza. Notti passate a preoccuparmi e a svegliarmi ad ogni minimo rumore, a correre di là con il cuore in gola, temendo il peggio, a dormire in un sacco a pelo per stargli vicino o ad addormentarmi in ginocchio, per terra o con il braccio storto perché il mio tesoro si era addormentato, finalmente, con il musino sulla mia mano e in quel momento per me non c'era gioia maggiore che sentirlo sereno perché gli ero vicina. Ho trovato un sacco di medici incompetenti e fino all'ultimo nessuno gli aveva mai fatto una diagnosi precisa. Sono andata fino a milano e sì, ho speso ben più di mille euro in meno di un mese per lui e lo rifarei ancora e ancora perché io, a differenza vostra, ho un cuore e tutti quelli che pensano che sia stupido o sbagliato possono benissimo cancellarmi dai loro amici perché non ho rispetto per chi la pensa così e non mi interessa la vostra amicizia. Ho passato tutto questo periodo a piangere ogni volta che rientravo a casa e vedevo il suo musetto emaciato fare capolino dalla sedia su cui gli piaceva stare, ogni volta che si rifiutava di mangiare, ogni volta che uscivo perché non volevo lasciarlo e ogni volta che, mentre ero fuori di casa, pensavo che al mio rientro avrei potuto non trovarlo più. Piangevo ogni volta che lo baciavo o che lo toccavo perché mi faceva impressione vedere il suo fisico e il suo musetto così provati da questa maledetta malattia, piangevo quando sentivo i suoi miagolii tristi e strazianti, piangevo, sempre, piangevo di continuo. L'ho visto scomparire piano piano, sotto i miei occhi mentre lottava veramente con le unghie per rimanere attaccato alla sua piccola vita, più di quanto ho visto fare a molte persone: mi ha riempito di orgoglio fino alla fine il mio bambino perché non ho mai conosciuto nessuno più fiero e meritevole di lui, nessuno così in gamba e forte. Poi è arrivato il temuto giorno: inutile stare a descrivere tutte le delusioni e le speranze che si sono avvicendate nel mio cuore in questo periodo mortale, inutile e bruciante raccontare che il giorno dopo che se ne è andato era il grande giorno per la nuova cura, quella giusta, quella mirata. Inutile descrivere cosa provo nel sapere che se i dottori mi avessero ascoltato, se io avessi fatto,, se... Lunedì 3 ottobre 2011 morgan ha pranzato con voracità e ha ronfato sereno vicino a me, contento di stare meglio e di aver fatto la pappa, poche ore dopo l'ho fatto bere e ha mangiato la sua fonduta di parmigiano e dieci minuti dopo i suoi polpastrelli sono diventati bianchi e lui è entrato, inaspettatamente, in piena crisi. Ho chiamato immediatamente il dottore che mi ha detto di portarlo al pronto soccorso per una fleboclisi ed altri trattamenti per farlo riprendere: gli era venuta lo stesso tipo di attacco la notte precedente ed io avevo provato il terrore più grande della mia vita temendo di perderlo ma quella volta non era successo e mi era bastato fargli qualche massaggio e tranquillizzarlo un po' per scongiurare il peggio, ma stavolta non è andata così. L'ho portato sul letto e, nonostante le indicazioni del medico, non me la sono sentita di caricarlo in macchina in quelle condizioni perché non sapevo se sarebbe arrivato a destinazione. Mentre lo tenevo stretto ha cominciato a urlare letteralmente dalla paura e dallo sconforto, non sapeva come stare, era irrequieto e non riusciva a respirare bene: continuava a fissarmi con questi occhi enormi e il musetto lungo lungo e stretto, mentre il suo corpicino che ormai non era formato che da quattro ossa leggere leggere, si muoveva su di me in cerca di una posizione che lo facesse stare meglio, ma non ce ne erano, non c'è una buona posizione per morire. E' durato tutto tantissimo, dal mio punto di vista, lui continuava a piangere e urlare e io a dirgli stupidamente "la mamma è qui con te, la mamma è qui con te" con l'anima e il cuore invasi dal terrore, mi guardava in preda al panico come se io potessi in qualche modo aiutarlo e questa è un'immagine che vivrà per sempre dentro di me: ad un certo punto ha cominciato a rantolare e a muoversi molto meno ed infine, dopo un ultimo lunghissimo spasmo, il suo corpicino si è abbandonato tra le mie braccia e il suo nasino si è appoggiato al mio collo mentre io trasformavo il terrore in un dolore sconfinato. Non c'è nulla di poetico nella morte o nel morire tra le braccia di chi ami: è stato orribile. Ecco, questa è una piccola parte di quello che vi siete persi mentre eravate distratti e vi siete dimenticati di chi chiamavate amica e se a condividere quest'incubo con me c'erano veramente tre gatti allora vuol dire che tutti gli altri non meritano di far parte della mia vita. E la prossima volta che piangerete per la prima sciacquetta che vi ha dato buca o per il coglione di turno che vi ha trattato male, o che vi farete venire un esaurimento per il lavoro, rileggetevi il mio racconto e cominciate a dare importanza a ciò che veramente ne ha.

O DiO

Odio la vita perché fa schifo. La odio perché tutte le cose che ho ottenuto me le sono guadagnate ma alla fine la maggior parte le ho perse, perché la felicità che ho vissuto l'ho pagata con troppo dolore, perché la vita è fatta di persone e le persone di solito non mi piacciono. Odio la vita perché è ingiusta, perché i pochi esseri umani che amo sono per lo più insoddisfatti o infelici, perché è vero che nessuna buona azione resta impunita, che sono sempre le persone migliori a soffrire e perché i poveri di cuore sono però ricchi di opportunità; la odio perché se non sei forte ti schiaccia, perché non c'è mai un momento di tregua in mezzo alle difficoltà che si presentano ogni giorno sul nostro cammino. Odio la vita perché la mia è inutile, perché non ne trovo il senso e non ne vedo la bellezza, mai. Odio vivere e tutto ciò che comporta, odio svegliarmi la mattina e scoprire che non è cambiato nulla, che comunque agisca non riesco ad arrivare dove vorrei. Odio la vita perché non sono capace di viverla, perché il disgusto per il mondo in cui camminiamo mi lascia in bocca tutto l'amaro di un'esistenza a metà, perché non sono abbastanza forte per affrontarla eppure sono obbligata a farlo. Odio la vita perché credo che ci siamo dimenticati quali sono le cose realmente importanti, perché mi merito di più, come la maggiore parte della gente che si districa ogni giorno tra le mille difficoltà che comporta esistere in un mondo così duro per un semplice essere umano. La odio, con tutta me stessa.

Ferale

Violata. Infangata. Distrutta. Bruciata. 
Esplosioni multimediali. 
Radiazioni intenzionali. 
Sfatto, grasso, mollo, frusto. 
Dove ti giri ti giri, ci sono solo ossa rotte. 
Odore di mosto di vino. 
Mi sposto. 
Livore. Fervore. Mancanza. Dolore. 
Frequenze strumentali. 
Sequenze irrazionali.
Non ci sono più le sporche pulsioni. 
Grigio, lordo, vinto, guasto. 
Il sole che scalda la pelle. 
Mi sposto. 
Distorta. Contorta. Irrisa. Morta. 
Mi sposto.

La stanza

Buttata in angolo come uno straccio vecchio, eccola lì, la mia anima: stropicciata, sporca, calpestata. Le ombre della notte, aggrappate ai muri della stanza, piantano le unghie nella pietra per non farsi lavare via dal sole mattutino; si insinuano nella mia coscienza e mi trasportano nel loro mondo alla rovescia dove nulla ha senso e tutto pesa. Sollevo lo sguardo per cercare traccia dei miei sentimenti ma la polvere che danza nell'aria mi offusca la vista e io non capisco se quello che tocco è amore o dolore o forse soltanto la proiezione dei miei desideri consumati dal tempo e dalla delusione.  Ne sfugge uno, consunto, stracciato, intravedo al suo interno un amore perduto, penso di aprirlo e ricordarlo ma la sua trama si sfalda tra le mie mani e svanisce nell'aria creando altra polvere. Ritraggo la mano e mi assale un senso di inquietudine.  Sento la gola secca in questa stupida giornata triste mentre la claustrofobia mi toglie il fiato tentando di soffocare anche gli ultimi luccichii di speranza. La mia anima è ancora lì, logora di delusione e sogni disattesi; la guardo con gli occhi di chi non mangia da giorni, la bramo come un amante infuocato desidera la sua musa ma la lascio lì, spaventata all'idea che mi si sciolga tra le dita. La guardo ed è ancora lei, immobile, la vedo chiaramente adesso ma più la osservo e più svanisce nel soffio mortale di quello che tu chiami amore.

Due anime

Stretto contro il petto dell'uomo il ragazzo si sentiva protetto; gli piaceva l'odore di dopobarba che emanava e gli piaceva sentire contro il viso quella pelle ruvida e bruciata dal sole quando l'uomo gli sfiorava la fronte con un bacio. La loro storia era cominciata non molto tempo prima, in una viuzza stretta e maleodorante dell'angiporto. L'uomo, che faceva il pescatore con il suo gozzo per poche monetine al giorno e per guadagnarsi un piatto di minestra calda la sera, aveva trovato il ragazzo seduto su una cassa di legno proprio fuori dal locale dove andava a bere una birra tutte le notti. Il ragazzo era biondo e sparuto, i capelli erano tagliati di fresco e profumavano di neonato ma il viso era rigato di nero dove le lacrime scendendo copiose avevano lavato via la polvere dalla sua pelle. Singhiozzava e lo fissava con quell'espressione spaventata e ansiosa di chi non sa cosa aspettarsi dal futuro prossimo, così l'uomo lo prese tra le mani come si fa con un uccellino ferito e, senza dire una parola, lo portò nella stanza dove viveva in affitto. Quella notte, quando il pescatore si svegliò di buon ora per cominciare la giornata lavorativa, il ragazzino si alzò insieme a lui e senza aprire bocca, lo seguì alla sua imbarcazione. Dopo aver controllato che tutto fosse a posto l'uomo tolse gli ormeggi e i due scomparvero piano piano alla vista. Quando il gozzo attraccò al suo posto, di ritorno dalla pesca mattutina, il ragazzo aveva un espressione serena e il viso tirato dal sonno. Scesero dall'imbarcazione e, una volta sulla terra ferma, l'uomo prese in braccio il suo piccolo amico e questo si abbandonò fiducioso contro di lui addormentandosi quasi all'istante. Da quel giorno li si può vedere ripetere lo stesso rituale ogni notte e girare mano nella mano, il gigante e il fanciullo,  ogni pomeriggio per i vicoli odorosi di sapori e salsedine, a mangiare frittelle fresche da una busta di carta, sempre senza proferire una parola. Non sono passate molte lune da quando si sono incontrati in quell'angolo dietro al porto, eppure sembrano già una famiglia, forse non si sono nemmeno ancora parlati con il loro strano modo di essere legati, ma di sicuro si sono riconosciuti tra gli altri e le loro anime, così stranamente assortite, hanno calzato alla perfezione l'una i vestiti dell'altra. 

Scelte

Mi sento come sospesa in un limbo maleodorante di dolore e di assurdità. Non so cosa fare, non so come comportarmi, mi sento ricattata ed è ingiusto. Come se le cose dipendessero da me. Sono tornata indietro di anni, sono tornata al periodo buio degli psicofarmaci e delle droghe, delle dipendenze e dell'annientamento di me stessa. La mia unica speranza è di ricostruirmi piano piano a modo mio senza dare retta a nessun altro che non sia il mio cuore come ho fatto finora perché lui non sbaglia mai, perché guardandomi indietro sento di aver compiuto le scelte giuste per me e non mi sono mai pentita di nessuna decisione presa in passato, facile o difficile che fosse. Questa sono io e non potrei essere diversa.

Corners - to be me

Tired to death to be this way.
Hold my hand and take me away
from this world of false dolls
who suck my mind and prevent my falls.
So I'll be stuck in my half-life
just tread my soul with boring knife
and you are not the climb to moon
but only a deal that will fade soon.

Sono stanca


Una giornata di pioggia e il grigio del cielo è arrivato anche al mio cuore. Ci stava provando da un po' e finora non c'era ancora riuscito ma oggi mi ha impregnato i vestiti e la pelle con il suoi cinerei toni, cancellando ogni traccia di colore dalla mia stanza e dalla mia vita. E' passeggero, lo so, come tutto del resto; ogni cosa è in continua evoluzione e sono consapevole che questo non è altro che un periodo della mia vita, un tempo destinato a finire, svanire, insieme alle sue brutture ma anche a tutto quello che mi aveva scaldato il cuore dopo così tanti inverni passati a sognare. La cosa più difficile da fare, per me, è imparare. Imparare a non aggrapparsi ad un'illusione e restare sempre con i piedi ben piantati per terra perché il primo refolo di vento non rischi di farmi vacillare proprio mentre sono sull'orlo del precipizio. Io sono una sognatrice un po' stupida e troppo spesso lascio che la mia mente insana prenda il sopravvento e distorca in modo folle la realtà, così ogni tanto mi rifugio in un mondo che non esiste ma che mi piace di più di quello tangibile perché c'è caldo e ci sono tante cose belle, perché lì, in quell'universo, mi sento meno sola e sperduta che in qualsiasi altro posto. Vorrei poter restare lì in eterno ma c'è sempre qualcosa che ti riporta brutalmente indietro alla realtà. Qual'è la risposta giusta?  La formula per la pazzia eterna? Perché se sono destinata a farmene nulla, sono stata dotata di cuore e cervello così sviluppati? Perché se il mio destino deve essere così arido, la mia anima  è così assetata di amore? E perché se sono solo un puntino privo di significato nell'immenso mondo circostante, la mia mente è in costante ed inutile sovrapproduzione? 
Mi lamento di continuo lo so, è più forte di me, non ci posso fare nulla; il fatto è che sento che le cose mi stanno sfuggendo di mano ed è proprio come nel proverbio: se provo a stringere il pugno per trattenere la sabbia essa sfugge ancor più velocemente ma se non faccio nulla sono destinata a guardarla impotente mentre scivola via dalle mie dita. Sono confusa e non so mai qual'è a cosa giusta da fare, sbaglio di continuo e sbaglio con la mia vita, è questo il problema, non si tratta di un gioco ma dell'unica vita che ho. Mi piacerebbe tanto pensare che nella mia prossima eviterò gli errori di questa ma, purtroppo o per fortuna, non esiste una seconda occasione e continuare a ripensare "se avessi fatto", "se avessi detto" non serve a nulla se non a rendermi ancora più infelice per le occasioni perdute. Eppure mi guardo intorno e vedo che per gli altri non è così, che la comodità delle piccole cose che si sono conquistati nel corso degli anni basta loro a farli sentire in qualche modo a posto. Noto che la sicurezza e la razionalità vincono sulle ragioni del cuore e che è più facile perdere un sentimento piuttosto che una comoda abitudine. Nessuno è disposto a rischiare un po' di dolore per inseguire un sogno perché le persone non sognano più. Io un sogno ce l'ho ancora e aspetto, con la paura e l'apprensione di chi sente di aver vissuto a metà, che Atropo arrivi a recidere il cordone ombelicale di un'esistenza che ogni giorno mi va sempre più stretta. Sono stanca.

Futuro


"Ho visto una stella all'orizzonte ma,
pessimista io,
mi sono girata dall'altra parte.
Istanti, poco più di niente.
Accolgo il freddo che mi assale e
mi stringo un po' di più la giacca addosso.
Penso alla mia stella e mi domando
se sia ancora lì, dove l'ho lasciata
un attimo prima.
Non ho il coraggio di guardare.
In un mondo fatto di noia e buio cosmico
lei è il mio unico sogno.
Chiudo gli occhi: tremo, penso, piango.
Mi addormento infine,
immersa in un limbo di luci e colori.
Ricordi di un mondo che non esiste più
ma che mi apparterrà per sempre,
rinchiuso in eterno nell'abisso della mia anima."

Leggi, Regole e Morale

Nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo
(Johann Wolfgang Goethe)
Ma dove sta scritto che tutto quello che fa parte di leggi, regolamenti o diktat varii debba per forza essere giusto? Se io non ci credessi, se i miei intenti, le mie idee, i miei progetti andassero in un'altra direzione? Chi ha decretato per me come devo vivere la mia vita e chi ha stabilito qual'è la soluzione migliore? Perché non posso essere libera di uccidermi o di vivere come meglio credo e come più amo fare, se la mia indipendenza non si scontra con le esigenze degli altri? E soprattutto chi ha stabilito chi ha torto e chi ha ragione? In questo mondo dove tutto è deciso da pochi, le persone hanno scelto di spegnere il cervello e attivare la smart card su cui qualcuno ha registrato dati e pensieri in loro vece. Voglio liberarmi da questa condizione di "dipendente statale", non perché sono un'idealista ma semplicemente perchè, a quasi quarant'anni, sono stanca di avere sempre qualcuno che definisce per me quello che devo e non devo, posso e non posso. Prima mamma e papà, poi gli insegnanti, il datore di lavoro, gli amici che si sentono come il grillo parlante e ti riempiono la testa di dubbi e incertezze (starò sbagliando? Avrà ragione lui?) ed infine lo stato, le leggi scritte da quei quattro bastardi che tutto hanno a cuore tranne il mio bene. Adesso penso che tocchi a me, vivere la mia vita. Non capisco come facciate voi a non prendervela e a non sentirvi ingabbiati da questa società dalla morale ridicola e dai finti principi. A volte mi sento un alieno e forse lo sono: sono venuta al mondo nel momento sbagliato o nel posto sbagliato. Avrei dovuto nascere in un paese in guerra dove, con un fucile in una mano e un manifesto nell'altra, avrei potuto combattere qualche inutile battaglia idealista, almeno così sarei morta nell'illusione di aver vissuto.

Genesi

Dove vanno a finire i pensieri che mi girano nella testa come un vortice? E tutta quella rabbia che ormai non mi basta più sfogare sulle pagine di un diario che nessuno leggerà mai? Nemmeno questo blog, perso nel mare delle altre migliaia che ogni giorno, simili, nascono in tutto il mondo, probabilmente verrà mai letto da qualcuno ma non importa. Ho bisogno di un modo per far fuoriuscire tutto questo da dentro di me, incanalarlo in una qualche direzione e cristallizzarlo nel tempo, in modo che tutto cominci ad avere un senso e che nulla vada perduto. Sento che il tempo mi sta portando via la solidità delle già scarse convinzioni che ho avuto finora e ho bisogno di ancorare quel poco di senno (o di follia) che mi rimane, a qualcosa di solido e concreto; da qui l'esigenza di far nascere questo blog di sfogo, disorganizzato, anarchico e terribilmente, sinceramente libero. Lo faccio per me e per nessun altro; se poi nel corso del viaggio qualcuno si vorrà unire per dire la sua sarà il benvenuto, immagino, ma questo adesso è poco rilevante.